Mi chiamo Cosimo Quaranta, sono un detenuto di Badu ?e Carros e oggi ho la possibilità di inoltrare la semilibertà grazie al fatto che ?Vita? ha pubblicato l?appello della mia compagna per trovarmi un lavoro e grazie a Movimondo di Bari. Oltre a ringraziarla, vorrei approfittarne per esprimerle il mio pensiero in merito all?applicazione dell?ordinamento penitenziario e come questo venga sempre stravolto. Ciò che ha invaso e pervaso l?applicazione delle norme dell?Ordinamento penitenziario è la mera discrezionalità che, applicata senza limiti, sconfina nell?arbitrio, spesso rappresentato dal termine ?beneficio?. I detenuti, come il vecchio Diogene, continuano a essere alla snervante ricerca dell??educatore attento? che non sia un?emanazione meccanica del magistrato di sorveglianza o del pubblico ministero. Insomma cerca un po? di obiettività e certezza nel suo percorso di espiazione della pena. Qui dentro invece tutto è premio, aspettativa e beneficio. Tutto dunque è arbitrio. Bisogna ristabilire anche per i detenuti il principio costituzionale di pari dignità e di uguaglianza davanti alla legge, nel senso che tutti devono godere concretamente di pari condizioni e opportunità. All?obbligo di scontare la pena, deve corrispondere il diritto di usufruire delle misure previste dalla legge. In carcere succede un po? come a scuola, dove a raccogliere consensi è lo studente estroverso e non quello introverso e problematico, anche se è più preparato. Il problema allora è come mettere argine agli abusi del trattamento ?personalizzato? che viene fatto in carcere. Bisognerebbe reimpostare il trattamento in base al principio della fiducia, concedendo al detenuto un credito che si può togliere solo successivamente, se la fiducia viene tradita, Oggi in carcere non esistono diritti, ma solo premi che vengono concessi in base alla simpatia, il caso, ecc… Sia il crimine che il criminale sono anche prodotti sociali, mentre la carcerazione è stata pensata per annullare ogni socialità. La punizione prevale sulla rieducazione e quindi la rieducazione rimane un?utopia. La pena non dovrebbe solo ?tendere? (come dice la legge, ndr), ma ?essere?, l?occasione per la rieducazione. Dunque non sofferenza fisica, di privazioni materiali e affettive, ma sforzo di ricostruire una nuova coscienza. Il problema del trattamento del detenuto non è infine un problema di pietà, ma una pretesa di garanzia dei fondamentali diritti.
Cosimo Quaranta
Badu ?e Carros, Nuoro
Signor Cosimo, le dedico poche parole perché ho voluto dare spazio alla sua lettera. Lei ha illustrato il sistema ?ricattatorio? del trattamento carcerario con molta chiarezza. Mi lasci aggiungere qualche cifra. Gli ultimi dati affermano che, su oltre 50 mila detenuti, solo 1.667 hanno la possibilità di lavorare all?esterno. 2.500 sono affetti da disturbi psichici, ogni anno in media ci sono 50 suicidi, 500 tentativi di suicidio e 5.000 casi di autolesionismo. Nel 1996, dei 4.013 miliardi assegnati all?amministrazione penitenziaria nel 1996, solo l?1,2 per cento è stato destinato alla rieducazione dei detenuti. Dov?è il carcere che cambia? Mi lasci dire, infine, che sono felice e orgogliosa, che attraverso ?Vita? e la generosità di Movimondo lei abbia trovato la semilibertà. Tanti auguri.
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